Correlati fMRI del disturbo ossessivo-compulsivo
GIOVANNA REZZONI & GIOVANNI ROSSI
NOTE
E NOTIZIE - Anno XV – 13 gennaio 2018.
Testi pubblicati sul sito
www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind
& Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a
fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta
settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in
corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di
studio dei soci componenti lo staff
dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: AGGIORNAMENTO E
RECENSIONE]
Se si considera che le prime
osservazioni psichiatriche sul comportamento ossessivo risalgono al 1860 e che
la costruzione interpretativa della nevrosi
ossessiva elaborata da Freud, prendendo le mosse dalla Zwangsneurose di Kraepelin, ha resistito fin quasi alla fine
Novecento, si comprende l’importanza del radicale cambiamento di prospettiva
introdotto nel giro di qualche decennio dall’individuazione di basi molecolari,
cellulari e sistemiche del disturbo
ossessivo-compulsivo (OCD, da obsessive-compulsive
disorder) come attualmente lo si concepisce. Si tratta di un mutamento
sostanziale, caratterizzato dal lasciare il quadro per molti versi rassicurante
di una compiuta interpretazione psicologica delle cause di eventi mentali ed
espressioni comportamentali, per incamminarsi nella nuova via non tracciata
della composizione in un insieme organico dei dati ancora frammentari che
emergono dalle indagini condotte con i metodi propri delle differenti
discipline neuroscientifiche. Tali nuovi elementi di conoscenza hanno rivelato l’esistenza
di una fisiologia cerebrale particolare, associata alle manifestazioni del
disturbo.
Dieci anni fa presentammo un interessante
lavoro finalizzato all’identificazione di un endofenotipo responsabile del
disturbo ossessivo-compulsivo, condotto da Menzies e colleghi del Brain Mapping Unit di Cambridge, introducendolo
così: “Gli endofenotipi (o fenotipi
intermedi) sono tratti oggettivi, quantitativi ed ereditabili, che
rappresentano fattori di rischio per disturbi poligenici a livelli più idonei
al trattamento dei fenotipi comportamentali o clinici. Si ipotizza che i
modelli fenotipici di malattia possano aiutare la comprensione dell’eziologia e
l’inquadramento diagnostico di complesse alterazioni della fisiologia psichica
come il disturbo ossessivo compulsivo (OCD)”[1].
Lo studio indagava mediante
risonanza magnetica il cervello di 31 pazienti affetti da OCD, 31 loro parenti
di primo grado non sintomatici e 31 soggetti di controllo non affetti da alcun
disturbo, tutti sottoposti ad un compito (response
inhibition) che in precedenti studi aveva rivelato difficoltà nelle persone
affette. Tanto i pazienti quanto i loro parenti non sintomatici mostrarono le
difficoltà previste, e gli autori dello studio le misero in rapporto con
alterazioni dei sistemi frontale e parieto-cingolo-striatale, provando per la
prima volta a definire un endofenotipo neurocognitivo dell’OCD. Un lavoro
precedente di Welch e colleghi aveva posto in relazione dei difetti nelle
sinapsi glutammatergiche cortico-striate con un comportamento animale ritenuto
equivalente alla compulsione del lavarsi[2].
Nell’ambito della ricerca sulla genetica del disturbo, una probabile traccia da
seguire è venuta dall’identificazione, da parte del Premio Nobel Mario Roberto
Capecchi, di un deficit di Hoxb8
quale causa di un “comportamento compulsivo di ripulitura del topo, che giunge
a prodursi graffi e perdita del pelo”[3] e
ricorda il lavarsi ripetuto di certi rituali ossessivi[4].
Nell’articolo di uno di noi (Giovanni
Rossi), La microglia nel disturbo
ossessivo-compulsivo, al quale si rimanda per un’esposizione organica e
informativa sull’argomento, si propone la ricostruzione del collegamento fra il
difetto in Hoxb8, appartenente alla
famiglia Hox di geni regolatori del
piano di sviluppo, e il comportamento ritenuto equivalente della compulsione a
lavarsi:
“La condotta di stropicciamento ad oltranza di
parti del proprio corpo nei topi con un difetto in Hoxb8, era così suggestiva da indurre molti ricercatori a studiare
il loro cervello, ma, sorprendentemente, la risposta alla domanda relativa alla
causa di quel comportamento non è venuta dal sistema nervoso centrale.
Sulle prime la questione sembrava un
rompicapo insolubile, perché la HoxB8, ossia la molecola codificata dal gene Hoxb8, non è espressa dai neuroni.
Trapiantando in questi roditori cellule provenienti dal midollo osseo di topi a
genotipo naturale, il comportamento scompariva (Chen, et al., 2010). I ricercatori provarono, allora, a trasferire il
fenotipo comportamentale trapiantando, in topi normali, cellule emopoietiche
del midollo osseo dei topi portatori omozigoti della mutazione con perdita di
funzione di Hoxb8. Anche questa
operazione ebbe successo e i roditori a genotipo naturale diventarono
temporaneamente dei “lavatori compulsivi”.
La spiegazione di questi risultati non è stata difficile.
Nel cervello, quasi tutte le cellule esprimenti Hoxb8 appartengono alla microglia o alle serie mieloidi,
pertanto sono questi elementi gliali a mediare gli effetti dell’alterazione
genetica: ciò vuol dire che il comportamento di grooming esasperato, simile ai sintomi compulsivi, origina da cellule microgliali/immuni innate difettose
che, nel cervello, pongono in diretto rapporto la funzione emopoietica col
comportamento”[5].
La nuova prospettiva ha
contribuito a far cadere un mito classico della psicopatologia e della psichiatria
accademica del secolo scorso, ossia che la configurazione psicologica di
personalità – in questo caso ossessiva – sia alla base della forma dei sintomi,
che si riteneva insorgessero al determinarsi di uno scompenso psicoadattativo.
In altri termini, si riteneva che la personalità isterica scompensandosi desse
luogo alla nevrosi isterica, la personalità fobica alla nevrosi fobica e la
personalità ossessiva alla nevrosi ossessiva[6]. In
realtà, si può notare come tante persone che corrispondono alla descrizione
della personalità ossessiva non sviluppino mai una condizione di OCD, che
invece si diagnostica molte volte in persone prive dei tratti più
caratteristici dello stile psicologico ossessivo[7].
L’abitudine clinica a
considerare l’OCD tra i disturbi d’ansia ha fatto trascurare per decenni gli
aspetti cognitivi della sindrome che, sebbene si manifesti spesso in persone
con un’intelligenza superiore alla media[8], comporta
lievi alterazioni di processi di base necessari all’esercizio di varie attività
cognitive. Oltre alla già citata riduzione dell’inibizione della risposta, da tempo è stato documentato un livello
più basso di prestazioni della working
memory (WM), ossia la memoria di
funzionamento che supporta tutta la nostra elaborazione della realtà. I
meccanismi alla base di tali difetti non sono noti e mancano evidenze empiriche
del supposto collegamento con il deficit di inibizione. Per cercare di
individuare le sedi interessate dai meccanismi implicati nella riduzione di
efficienza della WM e verificare l’esistenza di un legame con il difetto di
inibizione della risposta, Heinzel e colleghi hanno studiato i correlati
cerebrali, mediante fMRI, di prestazioni per compiti specifici per la verifica
di queste funzioni in 51 pazienti diagnosticati di OCD e 49 volontari non
affetti, sperimentalmente equivalenti e fungenti da gruppo di controllo.
(Heinzel S., et al., Neural
correlates of working memory deficits and associations to response inhibition
in obsessive compulsive disorder. NeuroImage:
Clinical 17: 426-434, eCollection 2018).
La provenienza degli autori
è la seguente: Department of Psychiatry and Psychotherapy, University of Bonn,
Bonn (Germania); DZNE, German Center for Neurodegenerative Diseases, Bonn
(Germania); Clinical Psychology and Psychotherapy, Free University of Berlin,
Berlin (Germania); Department of Psychology, Humboldt University in Berlin,
Berlin (Germania).
Prima di esporre in sintesi i
principali elementi emersi dai nuovi studi e i contenuti del lavoro qui
recensito, si vuol tornare a commentare la visione che ha improntato per circa
un secolo la concezione psicopatologica del disturbo, perché la scoperta di
basi neurobiologiche non esclude la dimensione psicologica, ma fa crollare
l’edificio che le riconosceva un ruolo eziologico.
Nella lezione numero 17 di Introduzione alla psicoanalisi, Sigmund
Freud così descrive il disturbo caratterizzato da pensieri ossessivi ed
attività compulsiva:
La nevrosi
ossessiva si manifesta in questi modi: gli ammalati sono assorbiti da pensieri
per i quali in effetti non hanno interesse, avvertono in sé impulsi che
appaiono loro molto strani, e sono indotti ad azioni il cui compimento non
procura loro alcuna soddisfazione, ma la cui omissione riesce loro
assolutamente impossibile. I pensieri
(ossessioni) possono essere in sé privi di senso, oppure soltanto indifferenti
per il malato; spesso sono completamente sciocchi, e in tutti i casi sono il
risultato di un’intensa attività mentale, che prostra l’ammalato e alla quale
egli si abbandona molto malvolentieri. Contro la sua volontà egli deve
rimuginare e lambiccarsi il cervello, come se fossero le cose più importanti
della sua vita. Gli impulsi che
l’ammalato avverte in sé possono apparire infantili e assurdi, ma per lo più
hanno un contenuto quanto mai terrificante, come tentazioni a commettere gravi
delitti, così che l’ammalato non solo li rinnega come estranei, ma fugge
atterrito dinanzi ad essi e cerca una salvaguardia in proibizioni, rinunce e
limitazioni della propria libertà. […] Ciò che l’ammalato esegue realmente – le
cosiddette azioni ossessive – è molto innocuo, certamente insignificante; si
tratta per lo più di ripetizioni, complicazioni cerimoniali di attività della
vita ordinaria, ma attraverso le quali certe operazioni necessarie come
l’andare a letto, il lavarsi, il vestirsi, l’andare a passeggio, diventano
compiti estremamente lunghi, difficili da risolvere[9].
Anche se in questa descrizione
non tutte le persone affette si riconoscono, si può rilevare che, a un secolo
di distanza, questo brano è ancora proponibile per la sua prossimità con la
fenomenica ancora oggi osservabile nella maggior parte dei casi.
Freud si allontana invece
dalla realtà del disturbo proprio quando elabora le congetture sulla sua
origine in una fissazione allo stadio di sviluppo libidico anale, descrivendone
i processi secondo il paradigma della sua teoria topologica della psiche, e
dunque attribuendo ad un Super-Io ipertrofico in contrasto con un Es generatore
di pulsioni, una parte importante nella formazione dei sintomi. Le intelligenti
costruzioni freudiane in grado di spiegare le manifestazioni cliniche in
termini di isolamento dell’affetto, spostamento, formazione reattiva ed altri
meccanismi psichici caratteristici della sindrome, hanno affascinato
generazioni di psichiatri, che spesso hanno a loro volta esercitato l’intelligenza
creativa per formulare ipotesi patogenetiche differenti, sullo stesso impianto
concettuale[10]. Tuttavia, lo studio
attento degli scritti, ci lascia intendere che Freud nutriva molti dubbi
sull’effettivo valore delle sue elaborazioni interpretative, sia perché
continuò a chiedersi perché non fosse guarito l’uomo dei topi[11], suo
paziente ossessivo, sia per questa affermazione del 1925 nello scritto Inibizione, sintomo e angoscia:
In altre
parole, ci troviamo ancora inaspettatamente di fronte al problema che così
spesso ci siamo trovato dinanzi: da dove viene la nevrosi, qual è il suo
significato ultimo e peculiare? Dopo decenni di lavoro nel campo della
psicoanalisi siamo ancora sempre all’oscuro su questo problema[12].
Oggi, che il concetto di
“nevrosi” è venuto a cadere e si preferisce la prudente definizione generica di
“disturbo”, la caratterizzazione a scopo diagnostico può essere così
sintetizzata: il disturbo ossessivo-compulsivo [Obsessive-Compulsive Disorder (OCD), DSM-5 300.3 (F42)] è caratterizzato da
pensieri, immagini, parole, frasi o concetti, intrusivi e persistenti (ossessioni) che invadono la mente del
soggetto, imponendosi alla sua coscienza; e da particolari attività mentali o
materiali ripetitive (compulsioni),
in grado di alleviare la tensione psichica che spesso accompagna tale
ideazione ossessiva[13]. Come appare
evidente, l’identificazione si basa ancora sui tratti psicologici e
comportamentali, il cui riconoscimento richiede però un’indagine accurata, come
si comprende da questa osservazione: “L’OCD è stato spesso sottovalutato,
perché erroneamente assimilato a condizioni caratterizzate dalla presenza,
temporanea e sfumata nel corso di stati ansiosi, di sintomi di questo genere in
persone che, evidentemente, presentano un tratto di predisposizione, ma non il
disturbo completamente espresso. Ancora, è stato erroneamente diagnosticato in
pazienti che, a fronte di preoccupazioni ansiose o vere e proprie fobie,
sviluppano sistemi di precauzione che possono alla lontana ricordare i
“rituali” compulsivi: la rinunciabilità di questi comportamenti, come osservato
da Perrella, accanto alla variabilità dei modi e all’assenza dei caratteri
precipui delle ossessioni, può orientare la diagnosi”[14].
Allo stato attuale delle
conoscenze è ragionevole supporre che una parte considerevole dei processi
psicologici che si sviluppano nelle persone affette da OCD è conseguenza
diretta o indiretta di uno stato neurofunzionale cerebrale condizionato da
piccole alterazioni molecolari in grado di interferire a vari livelli sulla
fisiologia dell’encefalo.
La ricerca di correlati
neurofunzionali nel cervello di persone affette dal disturbo
ossessivo-compulsivo è condotta da anni mediante metodiche di neuroimmagine,
inizialmente impiegate al fine di rilevare generiche differenze con il cervello
di persone non affette, nelle medesime condizioni di saggio, poi sempre più
mirate verso l’individuazione di attività di reti neuroniche sicuramente
associate con i tratti fisiopatologici definiti dalla convergenza dei risultati
ottenuti con differenti metodi di indagine, inclusi i modelli sperimentali.
Cinque anni fa si riportava: “Anche se la fisiopatologia del disturbo non è ancora stata definita con precisione, alcuni correlati sono ormai considerati un indice certo di un’alterazione neurofunzionale in grado di condizionare i processi psichici: in particolare, difetti nel circuito cortico-striatale e talamo-corticale sono stati dimostrati da tempo (Graybiel & Rauch, 2000) e poi verificati e riscontrati più volte negli anni seguenti[15]. Impiegando la tecnica di rilevazione spettroscopica in corso di esame dell’encefalo mediante risonanza magnetica (MRS) è stato rilevato un interessamento della sostanza bianca parietale e cambiamenti nei fosfolipidi della guaina mielinica degli assoni e della membrana delle cellule gliali (Kitamura, et al., 2006).
Coerentemente con le numerose evidenze accumulate negli anni, indicanti alterazioni in un circuito che comprende il giro del cingolo e segmenti neoencefalici cortico-talamici, studi condotti con metodiche di imaging basate sulla risonanza magnetica (MR diffusion spectrum imaging) e la trattografia hanno evidenziato, nei pazienti affetti da forme pienamente espresse del disturbo, anomalie della sostanza bianca nel segmento anteriore del fascio del cingolo e nella radiazione talamica anteriore (Chiu, et al., 2011)”[16].
Un numero considerevole di
studi di neuroimmagine ha documentato un’attività metabolica più intensa nella corteccia orbitofrontale e in quella del
giro del cingolo, accanto ad un
incremento più contenuto nelle aree dello striato,
sostanzialmente corrispondenti a reti che fanno capo al nucleo caudato e al lenticolare.
Alcuni studi strutturali, dedicati alla valutazione morfometrica di aree e
regioni cerebrali, hanno rilevato una riduzione
volumetrica proprio della corteccia
orbitofrontale, oltre che dell’amigdala,
un complesso nucleare importante per l’elaborazione delle emozioni ma attivo
anche in processi cognitivi quali quelli legati all’attribuzione di rilievo
alle esperienze percettive in corso.
Una fonte di informazioni
importante sulle possibili basi neurali della sintomatologia
ossessivo-compulsiva è data dall’analisi mediante neuroimmagini del cervello di
persone non affette dal disturbo fino a quando non siano incorse in lesioni
cerebrali focali che hanno determinato la comparsa delle manifestazioni tipiche[17]. In
questo ambito, il riferimento principale è costituito da uno studio condotto ventidue
anni fa da Berthier e colleghi su 13 pazienti, che avevano presentato sintomi
di ossessione e condotte compulsive dopo lesioni circoscritte del cervello[18]. Le
lesioni interessavano sedi diverse, quali la corteccia del giro del cingolo, la corteccia frontale e la corteccia
temporale, tanto quanto i nuclei
della base encefalica. Due, delle lesioni localizzate con maggiore
precisione, erano un amartoma della circonvoluzione
paraippocampale di destra e un
infarto del segmento posteriore del putamen[19]. Per
le altre localizzazioni in altri pazienti, pur ben definite dagli autori dello
studio, sussistono dei dubbi di significatività per la presenza di altri danni
cerebrali e manifestazioni di tipo epilettico.
Un classico modello clinico di
riferimento, per cercare di individuare la base neurale dei sintomi ossessivi,
è rappresentato dalla sindrome di Gilles
de la Tourette, in cui vari tipi di tic, inclusi quelli vocali che
attrassero particolarmente l’attenzione dei clinici del secolo scorso, sono
associati a sintomatologia ossessivo-compulsiva in oltre il 50% dei casi.
Questa sindrome, per la cui descrizione completa si rimanda alle trattazioni
specialistiche[20], generalmente esordisce
nell’infanzia, con una proporzione maschi/femmine di 3 a 1, manifestandosi con
un singolo tic, al quale se ne aggiungono altri nel tempo, e caratterizzandosi
per la combinazione di tic motori e vocali, questi ultimi spesso
contraddistinti dall’alto volume e dal tono irritante. Tra i comportamenti
motori impulsivi vi sono atti ripetuti quali saltare, accovacciarsi, girare in
circolo e toccare persone vicine; mentre tra le manifestazioni verbali si
rileva la palilalia, l’ecolalia e la coprolalia[21].
Shapiro, uno dei maggiori studiosi della sindrome, ha rilevato che in un terzo
dei casi osservati, tic isolati erano presenti nei parenti del paziente. Vari
studi hanno riportato, per entrambi i disturbi, un raggruppamento familiare di
casi secondo uno schema di trasmissione che corrisponde a quello di un
carattere mendeliano autosomico dominante a penetranza incompleta, secondo quanto
era stato compreso già trent’anni fa[22].
Un’altra fonte di conoscenze è
costituita dai numerosi casi in cui un danno dello striato facilmente
individuabile è seguito da un comportamento ossessivo. Una di tali entità
cliniche è costituita dal cosiddetto disturbo
da tic post-streptococcico (PANDAS o pediatric
autoimmune neuropsychiatric disorders associated with streptococcal infections).
Questa sindrome è connessa con una malattia del sistema nervoso da alterazione
extrapiramidale inclusa nella nosografia neurologica classica, ossia la Corea
di Sydenham, in cui coesistono anomalie comportamentali ossessive con tic e
disturbi di moto a queste assimilabili. Gli studi di neuroimmagine sul cervello
di pazienti affetti da PANDAS non hanno fornito risultati uniformi e facili da
schematizzare; tuttavia, nella maggior parte dei casi, è stato rilevato un
livello più alto di attività nel nucleo
caudato e nella corteccia
orbitofrontale, in associazione con i pensieri
compulsivi dei pazienti.
Una possibilità di acquisire
dati sulla fisiopatologia del disturbo, molto seguita in passato ed oggi caduta
in discredito, consisteva nella risposta ai trattamenti: ad esempio, era stata
dimostrata un’efficacia degli inibitori selettivi della ricaptazione della
serotonina (SSRI) paragonabile a quella dell’intervento di cingulotomia in
neurochirurgia stereotassica; pertanto, si era ipotizzata un’importanza dei
sistemi serotoninergici nei processi alla base dei sintomi[23]. L’efficacia,
che si riscontrava complessivamente in poco più del 50% dei pazienti, non era
tanto maggiore di quella dei farmaci neurolettici ad azione deprimente sui
sistemi dopaminergici sperimentati in precedenza. Considerata l’importanza per
la neurofisiologia psichica di numerosi sistemi neuronici che adottano quale
neurotrasmettitore la dopamina o la serotonina, oggi possiamo riconoscere a
queste azioni farmacologiche la natura di disturbo dei processi che mediano i
sintomi[24].
Relativamente di recente si è
intrapreso lo studio in chiave neurocognitiva dei processi mentali nell’OCD,
sia adottando i metodi classici della neuropsicologia, sia indagando i
correlati neurofunzionali. Lo studio della working
memory (WM)[25], o memoria di funzionamento, secondo Patricia Goldman-Rakic che
introdusse il concetto inglobando la memoria a breve termine della
neuropsicologia, ha rivelato limiti non marcati ma pressoché costantemente
presenti nelle persone affette dal disturbo. Un altro aspetto emerso da questi
studi, rilevante e più specifico in rapporto ai sintomi, è il difetto in un
importante processo a supporto dell’abilità di concentrazione: la response inhibition. Con tale
definizione si designa la scelta cosciente di ignorare stimoli ambientali o
mentali (esterni o interni) che distrarrebbero
dall’attenzione selettiva rivolta ad un particolare compito, scopo o problema.
Heinzel e colleghi, autori
dello studio qui recensito, hanno cercato nei correlati anatomo-funzionali
delle prestazioni un possibile collegamento fra il ridotto potere della working memory (WM) e la difficoltà ad esercitare
un filtro selettivo nei confronti di stimoli potenzialmente in grado di
distogliere la focalizzazione intenzionale dall’oggetto di interesse
principale. A questo scopo, hanno indagato il cervello mediante risonanza
magnetica funzionale (fMRI) in 51 persone con diagnosi certa e verificata di
OCD e in altre 49 prive di disturbi clinicamente manifesti, esattamente
corrispondenti per età, sesso e livello di istruzione, e costituenti il “gruppo
di controllo”. Tutti i partecipanti sono stati sottoposti ad un classico test
di WM, ossia il numeric n-back task,
con quattro diversi livelli di carico della WM, e studiati durante l’esecuzione
della prova con la fMRI. Una parte del campione costituito dai partecipanti (sottoinsieme) è stata anche osservata
nell’esecuzione di un compito classico di stop
signal fuori dello scanner MRI.
Al livello comportamentale, un
significativo carico di WM da interazione di gruppo è stato riscontrato, sia
per l’accuratezza (p ˂ 0.02) che
per i tempi di reazione (p ˂
0.03), indicando accresciuti tempi di reazione e ridotta precisione
specificamente ad alti livelli di carico di WM (3-back) nei pazienti di OCD. Le analisi condotte su tutto il cervello
dei dati fMRI hanno identificato, nelle persone affette, correlati neurali del
decremento di WM dipendente dal carico nell’area
motoria supplementare (SMA, da supplementary
motor area) e nel lobulo parietale
inferiore (IPL, da inferior parietal lobule).
All’interno del gruppo dei
pazienti di OCD, l’attività nella regione della corteccia cerebrale
corrispondente alla SMA, così come la prestazione al compito n-back,
era strettamente correlata con la prestazione al compito di verifica
della capacità di inibizione della risposta, ossia di filtro delle interferenze
(stop signal task).
In sintesi, i risultati delle analisi
comportamentali e di fMRI rivelano, nelle persone affette da OCD, una ridotta modulazione
dell’attività neurale dipendente dal carico di WM, e suggeriscono un meccanismo neurale comune per la
disfunzione inibitoria e la riduzione di WM.
Gli autori della nota ringraziano il presidente Perrella, che ha contribuito alla stesura del testo e
fornito materiali bibliografici, e la dottoressa Isabella Floriani che ha
corretto la bozza; inoltre, invitano alla lettura
delle numerose recensioni
di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito
(utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
La Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia, affiliata alla International Society of Neuroscience, è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze, Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come organizzazione scientifica e culturale non-profit.
[1] Note e Notizie 02-02-08 Fenotipo cerebrale ossessivo-compulsivo.
[2] Note e Notizie 03-11-07 Sinapsi cortico-striate nel disturbo ossessivo-compulsivo.
[3] Note e Notizie 03-11-07 Sinapsi cortico-striate nel disturbo ossessivo-compulsivo.
[4] Note e Notizie 13-10-07 Il Premio Nobel a Mario Roberto Capecchi.
[5] Note e Notizie 23-03-13 La microglia nel disturbo ossessivo-compulsivo.
[6] Le teorie della personalità hanno avuto anche un notevole impatto culturale nella loro descrizione degli stili di personalità, che sono diventati dei paradigmi di tipologie umane nella letteratura, nel teatro e nel cinema. I meno giovani ricorderanno l’attore David Niven nella magistrale interpretazione di un personaggio dallo stile ossessivo, quale perfetto modello del gentiluomo della buona società. In effetti, le descrizioni degli stili di personalità sono figure astratte che, nel concreto, si realizzano come portato di una sintesi fra le propensioni temperamentali del soggetto e le influenze ambientali costituite soprattutto dall’educazione e dai modelli di persone reali con le quali identificarsi.
[7] Vari esempi di queste “presunte eccezioni” sono apparsi fin dai primi anni Ottanta nelle osservazioni di Giuseppe Perrella, condotte presso l’Istituto di Clinica Psichiatrica della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Federico II (Cfr. Giuseppe Perrella, “Osservazioni su casi di nevrosi e personalità ossessiva”, condotte negli anni 1981-1984 e discusse al Seminario sull’Arte del Vivere 2004/2005).
[8] In passato, questa caratteristica era ritenuta un tratto distintivo e costante, descritto con la personalità.
[9] Sigmund Freud (1915-1917) Introduzione alla psicoanalisi. Universale Scientifica Boringhieri, N. 39/40, Torino 1969.
[10] Per rendersi conto di questo, è istruttivo leggere il capitolo di Sandor Rado sulla nevrosi ossessiva nell’opera più autorevole nel campo della clinica psichiatrica dagli anni Sessanta agli anni Ottanta: Silvano Arieti (editor in chief), American Handbook of Psychiatry, Basic Books, New York 1966 (Ed. It.: Manuale di Psichiatria in 3 volumi a cura di Silvano Arieti, I volume, pp. 339-361, 1985).
[11] L’uomo dei topi è il protagonista di una delle cinque “psicoanalisi classiche”, impiegate quali modelli didattici nelle scuole psicoanalitiche freudiane.
[12] Sigmund Freud (1925), Inibizione, sintomo e angoscia. Universale Scientifica Boringhieri, Torino 1969.
[13] Per una definizione più precisa e completa si rinvia al seguente testo, dal quale è stata tratta per sintesi quella riportata: Giuseppe Perrella, Osservazioni su casi di “nevrosi e personalità ossessiva”, condotte negli anni 1981-1984 e discusse al Seminario sull’Arte del Vivere 2004/2005. BM&L-Italia, Firenze 2005. Per una discussione sul mutamento di prospettiva in psichiatria, si veda l’articolo: G. Perrella, La concezione del Disturbo Ossessivo-Compulsivo e il superamento della tradizione interpretativa di matrice psicodinamica basata sulla teoria della personalità. BM&L-Italia, Firenze 2004 (cfr. Note e Notizie 23-03-13 La Microglia nel disturbo ossessivo-compulsivo).
[14] Note e Notizie 23-03-13 La Microglia nel disturbo ossessivo-compulsivo.
[15] Si veda Note e Notizie 03-11-07 Sinapsi cortico-striate nel disturbo ossessivo-compulsivo.
[16] Note e Notizie 23-03-13 La microglia nel disturbo ossessivo-compulsivo.
[17] Naturalmente, il rilievo delle sedi del danno e dell’entità delle deviazioni dalla norma fisiologica non fornisce la certezza di aver individuato l’origine anatomica e funzionale delle manifestazioni cliniche, in quanto allo stato attuale delle conoscenze non si può escludere che gli stessi sintomi possano essere determinati da alterazioni in punti diversi di una rete neuronica e per ragioni cellulari e molecolari differenti; tuttavia, rimane un’indicazione preziosa per lo sviluppo di ulteriori ipotesi di lavoro.
[18]
Berthier M. L., et al. Obsessive-compulsive disorder
associated with brain lesions: Clinical phenomenology, cognitive function and
anatomic correlates. Neurology 47, 353, 1996.
[19] Ricordiamo che costituisce la parte esterna del nucleo lenticolare, completato medialmente dal globus pallidus.
[20] Si veda in Adams and Victor’s Principles of Neurology (Allan H. Ropper, Martin
A. Samuels, Joshua P. Klein) 10th Edition, pp. 110-112, McGraw Hill Medical 2014. Il repertorio completo
dei tic e delle compulsioni è stato descritto da Tolosa e Bayes, e riportato
nelle rassegne di Jankovic e Leckman, diventate due “classici” imprescindibili:
Jankovic J., Tourette’s syndrome. New England Journal of Medicine 345: 1184, 2001; Leckman J. F., Tourette’s syndrome. Lancet 360: 1577, 2002.
[21] È interessante notare che la coprolalia, intesa quale emissione incoercibile di parole oscene o volgari, è virtualmente assente nei pazienti giapponesi, la cui cultura rigorosamente decorosa contempla pochissime espressioni linguistiche che possano rientrare in questa categoria; espressioni che, di fatto, non sono mai impiegate e sono a molti sconosciute.
[22] Kurlan R., Tourette’s syndrome: Current
concepts. Neurology 39: 1625, 1989.
[23] Vari studi hanno riportato un’efficacia della fluoxetina (Prozac) nel ridurre ossessioni e compulsioni in più del 50% dei pazienti; altre osservazioni hanno riportato l’efficacia notevole dell’imipramina e di altri vecchi antidepressivi triciclici (amitriptilina, ecc.) meno selettivi sulla 5-HT e agenti anche sulla noradrenalina (maggiore efficacia negli uomini), ma tali farmaci non sono bene tollerati come gli SSRI (v. Stein, cit. in Adams and Victor’s, op. cit., p. 1516).
[24] Secondo quanto ipotizzato già negli anni Ottanta dal nostro presidente. Si ricorda in proposito, che nei casi molto gravi e resistenti ai trattamenti psicoterapici, nel nostro Paese si è prevalentemente fatto ricorso alla farmacoterapia, sperimentando l’efficacia sul paziente, a differenza degli USA, dove gli interventi di neurochirurgia stereotassica sulla circonvoluzione cingolata (giro del cingolo) erano comuni, almeno fino all’introduzione dell’impianto di elettrodi nel nucleo subtalamico o nella regione del cingolo, per la stimolazione diretta.
[25] Un oppositore illustre di questo concetto è stato Joaquin M. Fuster, che ne ha poi riconosciuto la validità, come si legge in The Prefrontal Cortex (IV ed.); in neuropsicologia Alan Baddeley è stato il principale studioso di WM.